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Attualizzare le logiche di inquadramento delle risorse umane

Ogni volta che un’impresa assume una nuova risorsa in qualità di lavoratore dipendente, quello che scrive dopo le parole “qualifica”, “categoria” e “livello” ha una portata determinante.

Influenza l’impatto che il costo del lavoro avrà sul bilancio dell’impresa, ma anche l’intera vita professionale della risorsa che sta per iniziare un percorso presso l’azienda.

Non solo: avrà effetti anche sull’organizzazione dell’azienda e/o del reparto interessato in funzione della sua collocazione all’interno dell’organigramma, che sia esso un documento ufficiale o semplicemente, come in tante PMI, il modo in cui funzionano le cose.

Potrebbe addirittura generare delle turbolenze all’interno dell’area interessata, se in qualche modo risultasse disallineato o incoerente rispetto alle qualifiche già presenti.

In realtà l’inquadramento del lavoratore è una grande responsabilità del datore di lavoro, che sarà obbligato a mantenerlo salvo sussistano particolari motivazioni da convalidare in sede sindacale.

Tutto ciò è ben conosciuto da manager e imprenditori, ma allora per quale ragione si trovano così spesso nelle aziende italiane qualifiche, categorie e livelli non allineati all’effettiva posizione del lavoratore e che spesso finiscono per originare contenzioso o rivendicazioni?

I rapporti di lavoro possono avere una durata molto lunga, e lo stato di fatto è il frutto delle scelte effettuate nel corso degli anni, condizionate da modelli organizzativi superati ma anche dall’evoluzione della contrattazione collettiva e delle norme.

Il passaggio di categoria e livello come intervento premiante – le distorsioni

Il caso dell’Italia

In Italia, l’aumento di livello e il cambio di qualifica o categoria sono stati interpretati per decenni come strumenti per premiare o incentivare il personale. 

Non è difficile trovare risorse che svolgono mansioni puramente esecutive ma che, in considerazione delle loro spiccate doti di puntualità, precisione e affidabilità sono state inquadrate come figure di concetto, addirittura in qualche caso con funzioni direttive.

Così come non è infrequente che risorse adibite ad attività completamente manuali risultino classificate in modo adeguato, ma con qualifiche impiegatizie anziché operaie.

Oggi è chiaro che l’attribuzione della qualifica e del livello/categoria devono avvenire sulla base di criteri assolutamente oggettivi, quali le mansioni e responsabilità delle risorse o -eventualmente- il loro titolo di studio se così è previsto dal contratto collettivo, ma su che cosa si deve basare la scelta?

L’attribuzione della qualifica e livello – il caso del CCNL italiano dell’industria metalmeccanica

La responsabilità dello stato dell’arte non è solo degli imprenditori e manager italiani che hanno agito in buona fede in base alle logiche del momento, ma anche della contrattazione collettiva, spesso inadeguata e obsoleta.

Basti pensare che nella versione vigente fino al 2016, il CCNL italiano per gli addetti all’industria metalmeccanica prevedeva le mansioni di “dattilografia e stenodattilografia” e “perforazione di schede meccanografiche”. La stesura del 2016 ha eliminato queste diciture che ci fanno un po’ sorridere, lasciando però invariata la struttura della classificazione del personale.

Solo nel 2021 le parti sociali arrivano a certificare, con la sottoscrizione del nuovo CCNL, lo spirito dell’innovazione, cambiamento e miglioramento che deve condurre le PMI nel futuro.

Quali sono le nuove logiche?

In passato il livello dei lavoratori italiani veniva attribuito principalmente sulla base della competenza e dell’esperienza comunque acquisite, legate sostanzialmente alle mansioni che caratterizzavano la prestazione della risorsa interessata.

Il livello così determinato veniva percepito come un livello di partenza, suscettibile di miglioramento in base all’esperienza acquisita ma anche, come dicevamo, a titolo premiale.

Quindi l’elettricista veniva assunto come operaio qualificato, se fosse stato bravo sarebbe diventato un operaio specializzato e poi, con l’esperienza, un operaio specializzato provetto. Se avesse continuato a comportarsi bene, impegnarsi, essere puntuale e affidabile si sarebbe potuto trovare un bel giorno con una qualifica di impiegato di concetto o direttivo, sempre continuando a fare l’elettricista.

Il nuovo CCNL sconvolge tutto, perché ci proietta in un mondo dove il capitale umano ha finalmente l’importanza che merita.

L’esperienza e la competenza tecnica contano solo per un sesto

Oggi l’attribuzione del livello avviene considerando i seguenti criteri di professionalità

  • Autonomia – responsabilità gerarchico funzionale
  • Competenza tecnica specifica
  • Competenze trasversali e partecipazione al miglioramento
  • Polivalenza
  • Polifunzionalità
  • Miglioramento continuo e innovazione

I vari fattori devono naturalmente essere pesati in funzione delle specifiche mansioni e realtà aziendali. Ma basta leggere l’elenco per percepire la potenza di parole come “responsabilità” e “miglioramento”, di fronte alle quali la “competenza tecnica” è un po’ sbiadita.

Questi sono i criteri, ben esplicati dal CCNL, che devono indicare all’imprenditore l’inquadramento da attribuire ai neoassunti, ma anche le doti da sviluppare, valorizzare e monitorare nelle risorse presenti in azienda.

È certamente più complesso che considerare la risorsa limitatamente alle sue capacità professionali, ma ci auguriamo che imprenditori italiani sapranno fare propria questa nuova visione, perfettamente allineata ai cambiamenti epocali che stanno interessando il mondo del lavoro degli anni 2000.


Anna Cortesi

Consulente Aziendale e del Lavoro – Coordinamento progetti di internazionalizzazione, CEO TradeCube® www.tradecube.it