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Cenni sulle imprese in temporanea difficoltà economica

Nell’articolo precedente ho accennato, nell’ambito della più complessa problematica della finanza straordinaria e dell’intervento di capitali privati nelle PMI, senza ignorare, per ciò stesso, le grandi imprese, alla problematica della possibilità di aiutare anche imprese in temporanea difficoltà economica.

Stiamo parlando di un problema di particolare delicatezza.

Com’è noto, il fondo utilizza denaro che gli è stato affidato per essere gestito nel migliore dei modi, con risultati di incremento di valore nel tempo.

Le situazioni che conducono l’impresa ad una temporanea difficoltà economica, possono essere le più diverse.

In questo senso, ogni caso è a sé stante.

La domanda che ci si deve porre è se sia possibile, da parte di un fondo, valutare la possibilità di entrare nel capitale sociale di un’impresa in momentanea difficoltà economica.

Dobbiamo allora parlare di fondi di rescue financing, che consentono agli investitori privati di supportare il rilancio di imprese solide, ma in difficoltà transitoria.

Si tratta di imprese con fatturato elevato, indicativamente sopra i cinquanta milioni di euro.

Quando si usa questa terminologia, non si intende far riferimento a realtà di raccolta degli investimenti, a supporto dell’economia reale e della crescita delle imprese, per aumentarne fatturato, redditività, dimensioni, occupazione, presenza sui mercati, che si differenziano l’una dall’altra.

Il fondo è una entità che si caratterizza per diverse tipologie di investimenti, raccolti per finalità diverse, che possono essere il private equity, il private debt., le operazioni di fusione e acquisizione ed anche il rescue financing, e così via.

Ad un gruppo non fa capo un solo fondo, ma tanti diversi fondi.

È forse superfluo e fuorviante entrare in questioni e terminologia strettamente tecniche, che possono distrarre l’attenzione del lettore rispetto alla finalità perseguita nell’ambito della finanza d’impresa e, soprattutto della finanza straordinaria.    

In proposito, mi richiamo ad un caso, verificatosi in epoca molto recente, che ha riguardato un’impresa italiana, molto affermata, fra l’altro, nel settore della produzione di utensili per il mercato alimentare.

L’operazione, è stata condotta attraverso la costituzione di una nuova società.

L’impresa aveva fatto ricorso alla composizione negoziata della crisi, ma la procedura si era conclusa con esito negativo.

Successivamente, la società aveva avuto accesso al concordato semplificato, a causa del negativo andamento della gestione, ascrivibile essenzialmente all’incremento dei costi di materie prime ed energia.

Il fondo di investimento interessato, che aveva erogato finanziamenti in prededuzione, durante la procedura di composizione negoziata, seppur ampiamente coperto in un eventuale scenario liquidatorio, ha deciso di reinvestire nell’impresa un importo considerevole, per assicurare la continuità aziendale.

L’operazione, che si è conclusa, con l’acquisizione di un ramo d’azienda, ed ha portato anche alla tutela di oltre cento posti di lavoro, con la necessità di crearne di nuovi.

Non è l’unico caso di supporto ad imprese in temporanea difficoltà economica.

Lo stesso fondo, aveva ed ha affiancato, per il relativo rilancio, altri aziende, attive nel settore, a titolo esemplificativo, della produzione della seta, un gioiello dell’imprenditoria comasca, che esporta in tutto il mondo, così come un’impresa specializzata nella gestione di siti e grandi strutture pubbliche e private dedicate ad attività ricreative, culturali, didattiche e di ricerca scientifica, ed ancora è stata affiancata un’impresa, che si occupa di attività diversificate, quali opere e servizi stradali, gestione dei rifiuti, interventi di bonifica e cura del verde.

Come si può capire, l’ambito dell’attività imprenditoriale può essere fortemente diversificato, nel senso che non esiste, ormai, una categoria di settori privilegiati.

La circostanza fondamentale è che si tratti di aziende attive in mercati importanti, che possano aumentare fatturato e redditività e tutto quanto è stato già riportato nelle righe che precedono.

Nello stesso tempo, sarebbe assai difficile pensare di poter coinvolgere un fondo, quando l’impresa ha già avviato procedure minori, come la composizione negoziata della crisi.

La richiesta tardiva dell’intervento di un fondo, potrebbe precludere la strada dell’intervento nel capitale sociale, nell’operazione di finanza straordinaria, con tutte le conseguenze che ne possano derivare.

Di fronte a situazioni di temporanea difficoltà economica, il primo interlocutore da sentire è proprio il fondo e non pretendere di seguire strategie, come il contatto con le banche o, anche più semplicemente, una domanda di ammissione alla composizione negoziata della crisi.

Nel momento in cui si attiva un’entità che si occupa di finanza straordinaria, di particolare prestigio, capacità di redditività e negoziale, nonché ispirata a criteri di rigida etica, l’imprenditore è già in una situazione dalla quale vede la soluzione della sua crisi.

È ovvio che un fondo d’investimento sottopone ad attentissima analisi tutta la situazione economico finanziaria, patrimoniale della società, attraverso un rigoroso esame di vari indici, fonti di informazione, bilanci, valutazioni interne del proprio team.

Diversamente, ci troveremmo di fronte ad avventure senza ritorno.

Altrettanto logico è che il fondo debba accettare di entrare a risanare la crisi temporanea dell’impresa, circostanza che dipende più da problematiche correlate alla capacità dell’azienda di stare sul mercato, di risollevarsi dalla congiuntura negativa.

Il punto fondamentale, dal quale deve muovere l’imprenditore, è quanto ho già scritto nel mio precedente articolo.

Quando si parla di finanza, si pensa ad un mondo di squali dove vige la legge del più forte.

In analoghi termini, mi sono già espresso con riferimento alla condotta e mentalità dell’imprenditore, che considera l’azienda una sua creatura, e non accetta presunte intromissioni di terzi, che entrano nel capitale sociale, anche con quote di maggioranza.

La realtà è profondamente cambiata.

L’imprenditore non può fare da solo ovvero continuare ad accumulare debito attraverso il prestito delle banche, ormai assai raro e strumento assolutamente obsoleto.

L’imprenditore deve riflettere, prima di tutto, sulla circostanza secondo la quale l’ingresso di un nuovo socio, che mette a disposizione liquidità, non crea alcun debito per la società.

In conseguenza di questo intervento, l’impresa è posta in condizione di utilizzare quello che viene definito il capitale di rischio, vale a dire il capitale sociale, per coprire nuovi investimenti, incrementare la produzione, guardare sempre più a nuovi mercati, salvaguardando l’italianità.

Il capitale di rischio è, a tutti gli effetti, l’indispensabile mezzo per far nascere una nuova attività.

Bisogna però saperlo gestire.

L’imprenditore non deve assolutamente toccare, a mio avviso, il proprio patrimonio personale, se non per investire in aumento di capitale.

Tutte queste problematiche, si inquadrano nel più vasto ambito della necessità di un profondo rinnovamento del tessuto industriale, che passa da attività di consulenza di elevatissimo livello, fino all’ineludibile necessità di ingrandire la dimensione dell’impresa.


Author: Claudio Gandini
Iscritto all’Ordine degli avvocati di Milano e patrocinante presso le giurisdizioni superiori ed a quelle dell’Unione Europea. Svolge attività in materia di consulenza d’impresa.