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ChatGPT e Provvedimento del Garante: un altro punto di vista

Ormai molti anni fa, purtroppo per me, alla mia seconda lezione di informatica giuridica all’università, il mio professore stupì tutti facendoci vedere il film “Nemico pubblico” con Will Smith.

Eravamo agli albori della normativa sulla privacy, con la 675/96 entrata in vigore da poco tempo e con il DPR 318/99 (il regolamento recante norme per l’individuazione delle misure minime di sicurezza per il trattamento dei dati personali) che stava per entrare in vigore.

Quel film raccontava di una minaccia di una nuova legge sulla privacy che avrebbe messo a rischio la riservatezza dei cittadini americani, estendendo radicalmente il potere di sorveglianza sugli individui da parte delle Agenzie di Intelligence, in una sorta di grande fratello in cui il cittadino avrebbe subito ogni tipo di ingerenza, senza poter far nulla.

Il mio professore ci fece capire, partendo da quel film, l’importanza del diritto alla riservatezza e come il confine tra un uso legittimo della tecnologia e un uso lesivo dei diritti di riservatezza dell’individuo, fosse sottile. E lo era già all’epoca del film quando tutti noi, per collegarci a internet, aspettavamo trepidanti il “gracchiare” del modem per collegarci ad una pagina web.

Negli anni successivi, l’evoluzione della tecnologia ha reso sempre più labile questo confine. L’utilizzo dei social, l’adozione di algoritmi sempre più complessi e performanti di tracciamento, l’evoluzione dei telefoni cellulari in smartphone con funzioni sempre più evolute, l’adozione di sistemi di videosorveglianza intelligente, solo per citare alcune delle più recenti tecnologie, hanno comportato indubbi vantaggi nella vita di tutti i giorni, ma un sacrificio sempre maggiore della riservatezza. Da ultimo, appunto, l’utilizzo della intelligenza artificiale alla portata di tutti ha apportato ulteriori “pericoli” alla riservatezza.

E quindi? È tutto da buttare? Assolutamente no.

Non entrerò nel merito giuridico della decisione del Garante, lo hanno già fatto ben più illustri giuristi.

Quello che però vorrei proporre è un punto di vista più generale.

Da giurista esperto di nuove tecnologie e privacy, non ho mai ritenuto una tecnologia “cattiva” a prescindere, né ho mai ritenuto che azioni di marketing basate sulla tecnologia siano negative sempre e comunque.

Non si può fermare l’evoluzione tecnologica, con i suoi indiscussi vantaggi positivi, in nome di una riservatezza assoluta. Si può e si deve, invece, regolamentare l’utilizzo delle tecnologie basandosi su un concetto chiaro e preciso: la trasparenza e la libertà di scelta. Non è forse per questo che esistono in tutto il mondo le normative sulla privacy?

Il caso di ChatGPT è un caso interessante da questo punto di vista.

Ho letto molti articoli in questi giorni su quanto avvenuto e molti davvero ben fatti. Tuttavia, in alcuni di essi, emergeva una sorta di “tifoseria” pro o contro la decisione del Garante e pro o contro l’intelligenza artificiale. Il dato di fatto è però uno: soprattutto i ragazzi cresciuti con le “nuove” tecnologie, già la sera stessa del provvedimento avevano trovato il modo di utilizzare comunque ChatGPT con VPN o altri escamotage.

Ed è proprio ai ragazzi che dobbiamo guardare e che dobbiamo tutelare, perché non è vietando la tecnologia che li proteggeremo: troveranno sempre mille modi per utilizzare strumenti che per loro sono la normalità. È l’evoluzione delle generazioni. Qualche settimana fa ero in montagna con mio figlio e cercavo di insegnargli a leggere una carta topografica. La sua risposta è stata “esiste Google Maps”. Questo per dire che ognuno è figlio della propria epoca.

L’aspetto dei minori è trattato dal provvedimento del Garante e non è un aspetto marginale, anche se molti lo hanno sottovalutato.

Ma, se leggiamo il provvedimento e tralasciamo se la sospensione è o meno lecita da un punto di vista giuridico, quello che si afferma è un principio corretto: essere trasparenti e creare consapevolezza.

Dobbiamo finirla di considerare l’utente “stupido”. Tralasciando il caso di minori, che in effetti potrebbero non avere ancora l’accortezza di comprendere i rischi di alcune tecnologie, l’utente deve essere libero di poter valutare in autonomia se accettare o meno l’utilizzo di una tecnologia, ma informato di tutte le sue caratteristiche e anche dei “pericoli”. Se sceglie di avvalersi di queste tecnologie in maniera consapevole per sfruttarne gli indiscussi vantaggi, deve poterlo fare. Parliamo ovviamente di tecnologie legali e non lesive dei diritti di terzi.

Per i minori, lo stesso GDPR prevede che sia previsto per loro un linguaggio chiaro che li metta al corrente dei pericoli e dei rischi. Deve essere creata una cultura digitale a partire dalle scuole per proseguire nelle famiglie.

È questo l’aspetto su cui vorrei soffermarmi: la cultura digitale. Avere cultura digitale significa consapevolezza degli strumenti e dei rischi per poter scegliere liberamente e in maniera ponderata. Vale sia per adulti che per minori, ma per i minori è ancora più forte perché il vietare una tecnologia a prescindere ci vedrebbe sconfitti in partenza. Spiegare invece loro in maniera chiara del perché l’intelligenza artificiale può sbagliare e quali siano i rischi, li aiuterà ad usare lo strumento e a non farsi trarre in inganno dallo stesso.

È per questo motivo che, a mio modesto avviso, il provvedimento del Garante non deve essere inteso come una bocciatura di ChatGPT e della sua tecnologia o come una guerra al progresso, ma come l’input di creare maggior consapevolezza, stimolando anche un’opera di perfezionamento. Cosa che, a quanto pare, hanno compreso bene anche gli sviluppatori dell’app, che stanno collaborando con l’Autorità. E ciò, ripeto, a prescindere dalla correttezza o meno della sospensione, tanto da un punto di vista giuridico quanto da un punto di vista di utilità e opportunità.

L’intelligenza artificiale, che piaccia o meno, è probabilmente il futuro. Il renderla più sicura e il rendere edotti gli utenti dei rischi senza tuttavia cambiarne i connotati, ci permetterà di usarla più serenamente e di decidere, con consapevolezza, se rinunciare o meno anche a un pezzettino della nostra privacy, ma liberi di poterlo fare o meno.

In conclusione, nei prossimi anni, chissà a quante nuove scoperte e tecnologie assisteremo. Se creiamo una cultura fino da adesso scevra da pregiudizi di qualunque natura, le accoglieremo più sereni senza bloccare l’inevitabile progresso e ottenendo anche un altro importante risultato e cioè che chi svilupperà le tecnologie, considererà la privacy come un tassello fondamentale. Bilanciando gli interessi si potrà così continuare ad evolvere tecnologicamente in maniera più consapevole.

Ma a voi non manca un po’ il gracchiare del modem?


Author: Lorenzo Baldanello

Legal expert. Collaborates with The Deeping on law-related articles