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Millenials e informazione: la sfida

Qual è il rapporto dei ragazzi nati nel periodo tra la fine del vecchio millennio e l’inizio di quello nuovo con l’informazione? Quali strumenti utilizzano per acquisire notizie?

Sono queste le domande che devono in maniera sempre più crescente porsi i rappresentanti dei gruppi editoriali, in quanto catturare le nuove generazioni rappresenta una sfida di importanza cruciale, che non può essere affrontata senza rendersi conto della diversa prospettiva con cui i giovani si rapportano con quanto succede intorno a loro.

Il ragionamento non è locale, ma da affrontarsi in ottica mondiale, globale e, soprattutto, generazionale. Si parla innanzitutto di crollo d’interesse verso i cosiddetti media tradizionali: per quanto riguarda la TV, come riportato da Nielsen, in base a uno studio già del 2014, l’età media degli ascoltatori dei network americani è sempre più alta, stimabile già allora in 68 anni per Fox News, 60 per MSNBC e CNN e tra i 62 e i 64 anni per le reti locali; e non sorride di certo nemmeno l’editoria cartacea visto che già durante il News Agencies World Congress (Nawc) di Baku (Novembre 2016) fu ricordato come, tra i media occidentali, la carta stampata fosse quella maggiormente sofferente la crisi, con la perdita, a partire dal 2004, del 60% delle copie distribuite da parte del Guardian e del 40% del WSJ.

Numeri impietosi, inizialmente attribuiti, in maniera superficiale, a uno scarso interesse da parte della generazione dei cosiddetti “Millenials” nei confronti di quanto avviene nel mondo. A smentire questo concetto era già intervenuta però una ricerca condotta da Media Insight Project (2015) che aveva messo in luce, piuttosto, la diversa modalità di fruizione dell’informazione. Non disinteresse, ma piuttosto una diversa modalità di canalizzarlo: infatti, del target esaminato dalla ricerca (18-34), l’85% affermava quanto fosse importante stare al passo con le notizie, il 69% riceveva notizie ogni giorno, il 45% seguiva regolarmente cinque o più hard news topics, l’86% solitamente vedeva opinioni diverse attraverso i social media e il 40% pagava almeno un servizio, app o abbonamento digitale specifico.

La stessa ricerca aveva fatto emergere quanto l’esistenza dei social network avesse influenzato un mutamento di approccio (considerando il ruolo di questi non più limitato al mantenimento del contatto e dialogo con gli amici) basato sulla possibilità di rimanere collegati con il mondo intero e con quanto succede. Detto questo, aveva affermato che, nonostante fosse già grande il numero di giovani che ottenevano notizie dai social network, i percorsi attraverso i quali giungevano alle notizie erano più vari e comprendevano una miscela di fonti quali social, ricerche web, aggregatori, visite a siti specializzati fino alla fruizione delle fonti tradizionali.

Il News Agencies World Congress (Nawc) di Baku, già citato, si era aperto con una riflessione, derivante da una ricerca di PriceWaterCoopers: “Solo 8 secondi per scorrere una ‘news’, rigorosamente su Facebook o Google e, ancora più imperativo, attraverso lo schermo del telefonino, utilizzato dal 90% dei giovanissimi per informarsi. È l’informazione dei ‘Millennials’ la nuova generazione dei nativi digitali: rapidissima, preferibilmente video o fotografica perché il cervello, almeno quello dei giovanissimi “va molto più veloce del testo”.

Chi erano e sono questi giovanissimi e cosa fanno? Il direttore generale di Al Arabya, Turki Abdullah Aldakhil li aveva descritti nella stessa occasione: “Inseguono l’informazione sui social, amano i video e le breaking news ma soprattutto sono ipercritici, chiedono massima trasparenza e detestano la corruzione”.

Uno studio molto interessante, anche perché condotto con la già citata ottica generazionale e non locale, è stato poi quello confezionato dagli studenti della scuola di giornalismo Walter Tobagi di Milano e nominato “La parentesi dei Millennials” (2016): le conclusioni appaiono come imprescindibili punti per la creazione di un modello informativo adatto ai nativi digitali.

I dati principali sanciscono il trionfo dell’informazione via web: i ragazzi (il sondaggio è stato compiuto su giovani tra i 18 e i 35 anni) ricercano un rapporto attivo con le notizie: vogliono che siano i mezzi ad adattarsi a loro e non il contrario, amano costruirsi percorsi informativi adeguati ai propri interessi e non perdere tempo inutilmente. Sono sempre in movimento, prediligono i video e amano un tipo di giornalismo positivo, propositivo, che parli di loro, con una narrazione in prima persona, ritenendo più attendibile la notizia se viene data da qualcuno con il quale possono identificarsi.

Alla luce di queste conclusioni si possono anche comprendere gli insuccessi di iniziative originalmente pensate per i giovani ma in toto appartenenti a vecchie concezioni di questi: ovviamente il riferimento al progetto “Open” di Enrico Mentana appare evidente ed è la dimostrazione di come l’informazione riferita a questo target debba essere modellata sulle loro effettive attitudini e non calata dall’alto, di come non ci si debba preoccupare esclusivamente della giovane età dei giornalisti ma come, invece, si sia tenuti a dare seguito a quanto gli indicatori citati hanno già tracciato con tutta evidenza.

Non è una verniciata di bianco a un giornalismo tradizionale quello che i nativi digitali vogliono, ma una vera e propria rivoluzione nel modo di diffondere le informazioni.

I dati ci sono da qualche anno, la sfida sarà vinta da chi li saprà cogliere, correttamente interpretare e declinare nella maniera corretta.


Vittorio Guabello

AEG Corporation


MAG nr.4, luglio-agosto 2019