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Consenso privacy tra trasparenza e opportunità

Il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha appena emanato un provvedimento (Provvedimento del 12 giugno 2019) con cui, in estrema sintesi, ha intimato alla Pampers di rivedere la propria politica di raccolta dati e di non inviare più e-mail ai contatti presi con i consensi in essere.

In particolare, il Garante si è focalizzato su un form di raccolta punti, rilevando come i consensi richiesti fossero non specifici e inoltre ottenuti con pratiche ingannevoli quali il pre flag della casella di consenso. Ancora, il Garante ha analizzato i dati richiesti, che sono però risultati pertinenti così come i tempi di conservazione.

Va sottolineato il fatto che l’indagine si è svolta in base alla vecchia normativa e non al GDPR. Tuttavia i concetti sono i medesimi avendo il GDPR mantenuto i principi su cui si basano le contestazioni del Garante.

Il caso Pampers dà spunto per alcune importanti considerazioni.

In primis emerge come il Garante valuti, ai sensi del principio di minimizzazione, se i dati richiesti siano o meno necessari per le finalità dichiarate. Facciamo un esempio: se devo vendere un prodotto e fare una fattura, potrò richiedere i dati anagrafici e la partita Iva ma non quanti figli ha o dove va in vacanza il soggetto a cui devo fare la fattura.

Questo vuol dire che gli uffici marketing, ancora più col GDPR e col principio di accountability, devono riflettere sui dati che chiedono e devono essere in grado di giustificare la richiesta.

Altra importante considerazione è legata alla specificità del consenso. Il concetto, più volte ribadito dal Garante e chiaro anche nel GDPR, è quello per cui i consensi vanno prestati LIBERAMENTE per ogni singola finalità e non si possono accorpare finalità differenti.

Ancora, la libertà di conferimento comporta l’illiceità di ogni pratica volta a “estorcere” un consenso. Non solo, quindi, sono vietate caselle già flaggate sul consenso, ma sono anche vietati consensi poco chiari.

Immaginiamo, alla luce di quanto scritto, un ipotetico dialogo tra un responsabile marketing e un responsabile dell’ufficio legale. Il dialogo, probabilmente, avverrebbe all’incirca così:

Responsabile marketing: “Dobbiamo fare una nuova campagna e prendere i consensi. Cosa dobbiamo fare lato privacy?”

Legale: “Dobbiamo limitare la richiesta di dati e chiedere più consensi liberi.”

Responsabile marketing: “Così non raccoglieremo nulla e uccideremo il business.”

Legale: “Così dice la legge e così andrà fatto.”

La riunione si chiuderebbe quindi con entrambi i soggetti chiusi nella loro posizione ed entrambi convinti delle rispettive ragioni. In effetti, entrambi avrebbero ragione dal proprio punto di vista.

Ma proviamo a cambiare la prospettiva: posto che la normativa impone quanto sopra esposto e che quindi non si può andare contro la norma, perché non vedere la stessa come un’opportunità? Questo potrà essere fatto, ad esempio, chiarendo in maniera semplice e trasparente il perché si richiede un consenso.

Non cercare il consenso a tutti i costi, ma cercare un consenso consapevole porta due vantaggi: sensazione di eticità dell’azienda e mancanza di perdita di tempo ed economica che si avrebbe inviando materiale pubblicitario o facendo attività su soggetti a cui quell’attività non interessa.

Se per esempio io fossi un appassionato di montagna e l’agenzia mi spiegasse che la profilazione delle mie abitudini avviene solo per inviarmi offerte sulla montagna, senza farmi perdere tempo con offerte che non mi interessano e facendomi altresì risparmiare tempo con notizie che realmente mi possono interessare, perché non dovrei accettare? Ma questo va spiegato in termini semplici e accattivanti unendo il legale al marketing in una prolifica interazione.

Il dialogo di cui sopra avrebbe quindi, con questa prospettiva, potuto iniziare con una domanda che entrambi i soggetti si sarebbero dovuti porre e cioè: “qual è l’obiettivo?”.

Definito questo, la seconda domanda sarebbe stata: “cosa dice la legge?”.

In seguito, quindi, il legale avrebbe indicato quali sono i precetti di legge e il responsabile marketing a quel punto, anche assieme a lui, al posto di vedere un blocco, avrebbe semplicemente detto: “bene, ora vediamo come far capire i vantaggi a chi partecipa”.

Questo naturalmente comporterebbe un gioco di squadra non sempre facile tra soggetti che parlano spesso lingue diverse. Ma questa è un’altra storia… che approfondiremo nei prossimi numeri di MAG.


Lorenzo Baldanello

AEG Corporation – Studio legale VBS


MAG nr.4, luglio-agosto 2019